La Vocazione

Sei alla ricerca di un significato più profondo nella vita? Vuoi dedicarti a qualcosa di più grande di te stessa, servendo Dio e gli altri con gioia e compassione?

La vocazione nel Vangelo

Un brano classico: la chiamata dei primi discepoli. Un testo breve – il Vangelo è sempre sintetico – dove ogni parola è densa di spunti di riflessione per la nostra mente e di inviti segreti per il nostro cuore.

Mentre camminava lungo il mare di Galilea, Gesù vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano la rete in mare, poiché erano pescatori. E disse loro: «Seguitemi, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito, lasciate le reti, lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello, che nella barca insieme con Zebedèo, loro padre, riassettavano le reti; e li chiamò. Ed essi subito, lasciata la barca e il padre, lo seguirono

Un racconto brevissimo, che contiene lo schema di ogni vocazione. Possono cambiare i tempi e le modalità, al posto delle reti e della barca può esserci la playstation, ma la dinamica non cambia: Gesù che chiama, un cuore che si lascia chiamare, un tesoro da abbandonare e un tesoro infinitamente più grande che ci viene prospettato. Questa è la sequela: una storia che si ripete da millenni e che si ripeterà sino alla fine dei tempi. Sempre uguale, e insieme personale e irripetibile.

La vocazione in … Santa Teresa di Gesù

Una ragazza di vent’anni, bella e affascinante, dal temperamento appassionato e ricercata da tutti per la sua conversazione che incanta… ma anche profondamente timorata di Dio e colpita, fin dall’infanzia, dalla parola “sempre”. E proprio il timore di perdere Dio per sempre la spinge a bussare alla porta del monastero delle Carmelitane…

Compresi meglio le verità che mi avevano colpita da bambina, cioè, il nulla delle cose, la vanità del mondo, la rapidità con cui tutto finisce, e specialmente il pensiero che se fossi morta in quello stato, sarei andata all’inferno. Benché ancora non mi decidessi per il chiostro, vedevo tuttavia che quello era lo stato migliore e più sicuro, e così a poco a poco mi risolvevo ad abbracciarlo. Durai in questa lotta tre mesi, facendomi coraggio con il pensiero che, dopo tutto, i travagli e le pene della vita religiosa non potevano essere maggiori di quelli del purgatorio, e che dopo, me ne sarei andata diritta n cielo, che formava ancora la mia brama. – Insomma, mi pare che a dispormi a prender l’abito agisse di più il timore servile che l’amore. […] Ma appena preso l’abito religioso, il Signore mi fece comprendere quanto favorisca coloro che si fanno violenza per servirlo. La gioia provata nel vedermi religiosa non mi venne mai meno fino ad oggi. Iddio cambiò in grandissima tenerezza l’aridità di spirito che prima avevo.

Se una ragazza dei nostri giorni affermasse di voler entrare in monastero per salvarsi dall’inferno, forse nessuno crederebbe alla sua vocazione. Ma Dio le ha dato credito, perchè la radice di questo timore altro non era che l’amore, e perché in ogni caso qualunque disposizione d’animo, qualunque riflessione, purché buona e sincera, può essere il terreno sul quale deporre il seme della vocazione. Come ben dimostra la successiva vita di Teresa, che senza mai perdere il santo timore di Dio, si elevò alle vette più alte dell’amore confidente e sponsale, facendo fiorire in pienezza la sua personalità affettuosa, femminile e gioiosa.

La vocazione in … San Giovanni della croce

Se vogliamo conoscere la storia interiore di Giovanni de Yepes, non aspettiamoci da lui confidenze e aneddoti: egli avvolse la sua vita di una delicata riservatezza. Ma leggendo i suoi scritti, allora possiamo leggervi in filigrana la descrizione della sua stessa anima.

Quando l’anima fa spazio, cioè elimina in sé ogni ombra e macchia di cosa creata, tenendo la volontà perfettamente unita a quella di Dio – perché amare vuol dire cercare di spogliarsi e privarsi per Dio di tutto ciò che non è lui –, viene immediatamente illuminata e trasformata in Dio. Questi, allora, le comunica il suo essere soprannaturale, in modo che quella sembra Dio stesso e possiede ciò che possiede Dio. L’unione che s’instaura, quando Dio concede all’anima tale grazia soprannaturale, produce una trasformazione partecipativa tale che tutte le cose di Dio e l’anima costituiscono una sola cosa. L’anima assomiglia più a Dio che a se stessa, addirittura è Dio per partecipazione. È pur vero, però, che il suo essere, anche se trasformato, resta per natura distinto da Dio come prima; proprio come la vetrata che, pur essendo illuminata dal raggio di sole, ne rimane pur sempre distinta. Da ciò risulta più chiaro che i mezzi a disposizione dell’anima per arrivare a tale unione, come si diceva prima, non consistono nel capire, nel gustare, nel sentire, nell’immaginare Dio, né in qualsiasi altra attività umana, ma nella purezza e nell’amore, cioè nello spogliamento e nella rinuncia assoluta a tutto per amore di Dio. Ora, poiché non si può dare trasformazione perfetta se non vi è perfetta purezza, l’illuminazione e l’unione dell’anima con Dio saranno più o meno intense e proporzionate alla purezza dell’anima. Tale unione, ripeto, non sarà perfetta fintanto che l’anima non sarà del tutto perfetta, pura e limpida.

Purezza: una parola chiave per comprendere vita e pensiero del Santo Padre Giovanni, come viene chiamato al Carmelo. Purezza prima di tutto nei costumi, gelosamente coltivata fin dall’infanzia; purezza nelle intenzioni; purezza nel suo rapporto con Dio, che si nutriva di una ricerca assoluta e senza ombra di distrazioni. E ancora oggi la purezza rimane un terreno privilegiato per cogliere, nel profondo del cuore, la voce del Signore che chiama alla sua sequela, ed è ancora oggi una forza propulsiva che aiuta a dirgli il proprio sì. Come avvenne per San Giovanni della Croce, la cui anima cristallina fu così illuminata e trasformata dall’Amore divino fino a fare di lui il Doctor Mysticus, il Dottore Mistico per eccellenza.

La vocazione in … Santa Teresa di Gesù Bambino

Io sarò monaca: lo diceva ad appena due anni, e continuò a ripeterlo negli anni successivi, fino a realizzare il suo desiderio quando, appena quindicenne, entrò al Carmelo di Lisieux. Molti pensavano che lo facesse per seguire le sue amatissime sorelle maggiori, già monache nello stesso monastero. Ma la giovane Teresa previene tutte queste supposizioni con parole chiare e appassionate.

[Mia sorella Paolina, prima di entrare in monastero,] mi spiegò la vita del Carmelo, che mi sembrò tanto bella; nel ricordare tutto quello che mi aveva detto, sentii che il Carmelo era il deserto in cui il Buon Dio voleva che andassi a nascondermi anch’io… Lo sentii con tanta forza che non ci fu il minimo dubbio nel mio cuore: non era il sogno di una bambina che si lascia trascinare, ma la certezza di una chiamata Divina; volevo andare al Carmelo non per Paolina ma per Gesù solo… Paolina, considerando i miei desideri come volontà del Cielo, mi disse che presto sarei andata con lei a trovare la Madre Priora del Carmelo e che avrei dovuto dirle quello che il Buon Dio mi faceva sentire […] Dopo aver ascoltato le mie grandi confidenze la buona Madre credette alla mia vocazione, ma mi disse che non accoglievano postulanti di nove anni e che bisognava  aspettare i sedici anni… Un’altra suora  che era venuta a vedermi, non si stancava di dire che ero carina: io non contavo di venire al Carmelo per ricevere delle lodi, perciò dopo il parlatorio, non smisi di ripetere al Buon Dio che era per Lui solo che volevo essere carmelitana.

Alcuni cercano di spiegare una vocazione attraverso i condizionamenti sociali, culturali o familiari. Certo, una famiglia santa – come quella di Teresina – può essere un eccellente punto di partenza per una storia vocazionale. Ma la vera ‘stanza dei bottoni’, dove si decide la risposta da dare al Signore che chiama, è il segreto del proprio cuore, un santuario dove lo stesso Dio bussa con delicatezza perché Egli, che è libertà suprema, vuole dall’anima una risposta totalmente libera. E tale è stata la risposta di Teresina, malgrado la sua giovanissima età. Un ‘sì’ consapevole, voluto e custodito con totale fedeltà.

La vocazione in… Santa Elisabetta della Trinità

Quando la piccola Elisabetta Catez ricevette la sua prima Comunione, la mamma volle accompagnarla a salutare le monache carmelitane, il cui monastero era poco distante da casa; e la Madre che le ricevette disse alla bambina che il suon bel nome significava Casa di Dio. La buona suora sbagliava (in realtà Elisabetta significa Perfezione di Dio), ma fu un errore provvidenziale: perché la piccola fece tesoro di quella rivelazione e, una volta divenuta anch’essa carmelitana, ne fece il perno di tutta la sua vita interiore.

Come a Zaccheo, il Maestro mi ha detto: «Affrettati a scendere, perché devo fermarmi a casa tua». Affrettati a scendere, ma dove? Nel più profondo della mia anima, dopo aver lasciato me stessa. «Bisogna che mi fermi presso di te». È il Maestro che mi esprime questo desiderio, il mio Maestro che vuole abitare in me col Padre e lo Spirito d’amore, perché io «sia in società con loro», secondo l’espressione del discepolo prediletto. «Non siete più ospiti o stranieri, ma siete ormai della casa di Dio», dice S. Paolo. Ecco come io intendo essere della casa di Dio: vivendo in seno alla beata Trinità nel mio abisso interiore, in quella fortezza inespugnabile del santo raccoglimento, di cui parla San Giovanni della Croce. David cantava: «La mia anima vien meno entrando nella dimora del Signore». Mi sembra che questo debba essere l’atteggiamento di ogni anima che rientra nella sua dimora interiore per contemplarvi il suo Dio e per riprendere contatto vivo e profondo con Lui. Essa vien meno, in un divino dissolversi di fronte a quest’amore onnipotente, a questa infinita Maestà che dimora in lei. «Affrettati a scendere». È ancora senza bisogno di uscire da se stessa che vivrà ad immagine dell’immutabile Trinità, in un eterno presente, adorandola sempre per se stessa e divenendo, attraverso uno sguardo sempre più semplice ed unitivo, «splendore della sua gloria», in altre parole, l’incessante lode di gloria delle sue perfezioni.

Molte vocazioni sono già «anticipate» in un episodio, talvolta piccolissimo, della propria infanzia. una frase, una lettura, un’immagine, una percezione… Dio prende molto sul serio i bambini, e volentieri affida al loro cuore puro delle intuizioni dietro le quali si nascondono la traccia di una intera vita e un grande destino di santità. Intuizioni che purtroppo vengono poi dimenticate o volutamente accantonate… Ma non fu il caso di Elisabetta, che sul mistero della inabitazione divina scrisse pagine di insuperabile bellezza. Anche nella nostra infanzia è stato forse depositato uno di questi semi preziosi?

La vocazione in Santa Teresa di Los Andes

Una ragazza gioiosa, sportiva e circondata da amicizie, che
nell’adolescenza si innamora di Gesù e si dona a lui con un amore
giovane, entusiasta e verginale. Entrata al Carmelo, vi muore dopo
neppure un anno: un tempo brevissimo, ma sufficiente per fare di lei
una delle sante più amate dell’America Latina.

Solo Gesù è bello; Egli solo può rallegrarmi. Lo chiamo, lo piango, lo
cerco dentro la mia anima.  […] C’è qualche cosa di buono, di bello,
di vero che possiamo pensare non sia in Gesù? Egli è sapienza, per la
quale non c’è alcun segreto. Potenza, per la quale nulla c’è
d’impossibile. Giustizia, che lo ha fatto incarnare per riparare il
peccato. Provvidenza, che sempre veglia e sostiene. Misericordia, che
non cessa mai di perdonare. Bontà, che dimentica le offese delle sue
creature. Amore, che raduna tutte le tenerezze della madre, del
fratello, dello sposo, e che facendolo uscire dall’abisso della sua
grandezza, lo lega strettamente alle sue creature. Bellezza, che
estasia… Che cosa puoi pensare che manchi a questo Uomo-Dio? […]
Che cosa scopri nel Vangelo, se non un cuore buono, dolce, tenero,
compassionevole, insomma il Cuore di un Dio? Egli è la mia ricchezza
infinita, la mia beatitudine, il mio cielo…

E’ lo “schema” classico di una vocazione femminile: l’incontro con
Gesù nell’età dei primi batticuore, il proposito di consacrarsi a lui
e infine l’ingresso in religione. In questa vicenda semplice e lineare
però non tutto è rose e fiori: la santa dovette patire molto fin
dall’adolescenza e la sua fede fu provata nel fuoco delle prove
esteriori e interiori. Ma la sofferenza non poté impedire a Teresa di
affermare – è la più famosa delle sue frasi – che Dio è gioia
infinita.

La vocazione in Edith Stein


Filosofa, intellettuale e conferenziera di fama internazionale, Edith
si allontanò nell’adolescenza dalla fede ebraica in cui era stata
cresciuta, ma – sostenuta dalla sua eccezionale intelligenza – non
cessò mai di cercare la verità, con una straordinaria serietà e onestà
morale. E la trovò nel modo più imprevisto, una notte in cui – avendo
libero accesso alla biblioteca di una coppia di fedeli amici – lesse
tutto d’un fiato il primo libro che le capitò fra le mani…



Presi casualmente un libro dalla biblioteca; portava il titolo “Vita
di santa Teresa narrata da lei stessa”. Cominciai a leggere e non
potei più lasciarlo finché non ebbi finito. Quando lo richiusi, mi
dissi: questa è la verità”

Si vedono già le prime luci dell’alba; Edith aspetta che sia un orario
ragionevole, poi va alla ricerca di un sacerdote e chiede il
battesimo. Poi, l’entrata al Carmelo, il martirio e infine la
canonizzazione e la  proclamazione a patrona d’Europa. Ma ciò che
colpisce in questa vocazione è vedere che un’intellettuale della sua
portata trova la verità in un libro dove sembrano prevalere mistica e
passione. In realtà non ci dobbiamo meravigliare: chi cerca Dio con
sincerità, prima o poi trova il punto in cui passione e razionalità si
fondono con un perfetto accordo: perché Dio non è diviso in Se stesso,
ma è insieme – come afferma l’Apostolo Giovanni – Logos e Amore.

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